Il Pd lancia l’Sos primarie: "Cambiamo lo statuto"

Politica
Nichi Vendola e Pier Luigi Bersani, leader rispettivamente di Sinistra Ecologia e Libertà e del Partito Democratico
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Rottamare i vertici? Macché. Nel partito c’è chi invece pensa a disfarsi del voto della base o quantomeno a rimetterci mano. Soprattutto dopo che la sconfitta di Milano ha fatto crescere l’ansia per il fattore Vendola anche a Bologna, Torino e Napoli

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di Daniele Troilo

“Le primarie non vanno rottamate, vanno regolamentate. Così sono solo uno strumento con il quale i partiti più piccoli possono aggredire dall'esterno il nostro”. Il Pd ci ha messo cinque anni per capirlo. E così, dopo la sconfitta di Stefano Boeri a Milano, ora sono in tanti all’interno del partito a chiedersi se non sia il caso di rimettere mano allo statuto. A cominciare dal segretario, Pier Luigi Bersani, che pochi giorni fa ha ammesso che lo strumento delle primarie “avrebbe bisogno di un po’ di manutenzione”. Ma che le primarie non sarebbero state una passeggiata per il centrosinistra lo si era intuito sin dall’inizio. Basti ricordare la “legnata” rimediata alla prima occasione: nel 2005 il candidato dell’Unione Francesco Boccia venne sconfitto in Puglia dall’allora semisconosciuto Nichi Vendola. Da allora sono seguite altre batoste, senza dimenticare però anche i successi, come quello di Romano Prodi alle primarie del 2005 o quelli di Veltroni nel 2007 e Bersani nel 2009 (in questi ultimi due casi furono primarie interne al Partito Democratico per la scelta del segretario, altra cosa rispetto a quelle di coalizione). Fino ad arrivare alla “lezione” di Milano, dove Giuliano Pisapia è riuscito a battere il candidato appoggiato dal Pd.

Ora lo spauracchio primarie rischia di seminare nuovo scompiglio in altre città dove a primavera si voterà per eleggere il sindaco: da Bologna a Torino, passando per Napoli. Lo spettro? Sempre Nichi Vendola che, dopo aver offerto il suo sostegno a Pisapia, adesso ha deciso di tirare la volata ad Amelia Frascaroli (prodiana di ferro e iscritta al Pd), in corsa sotto le Due Torri. “Rispetto a Milano qui ci sono delle differenze sostanziali”, avverte però subito il segretario del Pd bolognese Raffaele Donini. “A Bologna non abbiamo nessun candidato ufficiale - spiega a Sky.it - ma sono tutti candidati del centrosinistra che condividono il medesimo programma. La stessa Frascaroli ha affermato di sentirsi la candidata di tutti e non solo di Sinistra Ecologia e Libertà”. In realtà il partito di Bersani qui ha deciso di puntare su Virginio Merola, ex assessore di Cofferati e tessera del Pd nel taschino. Difficile non parlare di candidatura di partito ma, dopo il caso Milano, forse i dirigenti hanno pensato che sarebbe più saggio mantenere un profilo basso. In parole povere: se dovesse vincere la candidata appoggiata da Vendola una nuova figuraccia è assicurata, come ammette la stessa Frascaroli: "Se vinco io, questo Pd finisce dall'analista". Donini però non ci sta: “Paura di Vendola? Spero che l’effetto ci sia e spero che possa portare più persone a votare. Ma così come mi aspetto che un elettore del Pd voti la Frascaroli mi aspetto anche che un elettore di Sel voti per Merola. I candidati per noi sono tutti uguali”.

Ma la tensione delle primarie c'è, eccome, e non riguarda solo Bologna. A Torino la situazione non è migliore. Qui, tra indiscrezioni e smentite, c’è anche chi all’interno del Pd starebbe valutando attentamente l’ipotesi di evitarle con un dribbling. Non parliamo di Napoli dove l’emergenza rifiuti si mescola al caos della politica nazionale e locale. Il termine per presentare le candidature ufficiali alle primarie sarebbe scaduto il 27 novembre, ma i dirigenti hanno pensato di prorogarlo. Chi vivrà vedrà. In ogni caso sembra di assistere a un teatrino dove le alleanze potrebbero cambiare più velocemente di quanto si pensi. E così se il sindaco di Torino Sergio Chiamparino in un primo momento sembrava aprire alla candidatura di Francesco Profumo, rettore del Politecnico, negli ultimi giorni è apparso invece più propenso a sostenere la corsa sotto la Mole di Piero Fassino.

Una cosa è certa: la riflessione nel partito è iniziata e prosegue senza sosta. Francesco Boccia, braccio destro di Enrico Letta, sconfitto per due volte di fila da Vendola in Puglia, capisce forse che la sua lezione non è stata ancora metabolizzata dai colleghi. E non nasconde lo scoramento: “Voglio parlare di tutto, ma non fatemi parlare di primarie. Non voglio creare altre polemiche all’interno del mio partito”. Sergio Blasi, invece, che è il segretario del Pd pugliese, riconosce il carisma e il potere di Vendola: “E’ vero, forse ormai ha definitivamente superato i confini regionali, ma se ora può affacciarsi alla politica nazionale con il suo modello è anche merito del nostro partito che in Puglia lo ha aiutato con idee e proposte vincenti”. Poi però ammette: “Le primarie così non funzionano. Quando sono state pensate ci trovavamo in un altro periodo politico. Ora siamo in una nuova epoca, il bipolarismo si sta sgretolando, i tempi sono cambiati”. Quindi? “Dobbiamo cambiare lo statuto, alle primarie devono poter partecipare solo i candidati iscritti al nostro partito”.

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