Politici e case. Da Affittopoli a Scajola, è sempre scandalo

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In principio fu l'attico di De Mita, poi nel '95 gli affitti dei parlamentari a prezzi ribassati. Nel 2007 c'è stata Svendopoli. Ma intanto anche Berlusconi ha avuto le sue grane. I casi Scajola e Fini sono insomma solo gli ultimi di una lunga serie

di Serenella Mattera

I problemi in famiglia di Gianfranco Fini. Il trasloco di Massimo D’Alema. Il processo (con assoluzione) di Silvio Berlusconi. Le dimissioni di Claudio Scajola. Più dolori che gioie per i politici dalle loro case. Vicende diverse, sia chiaro. L’ex leader dei Ds l’ha ricordato qualche mese fa in diretta tv al condirettore del Giornale, Alessandro Sallusti, con un “vada a farsi fottere” che gli è costato una sanzione dall’Ordine dei giornalisti. Ma a voler mettere in fila i fatti, si ricava ormai una rassegna vasta e varia di vicende “immobiliari” che hanno fatto discutere e creato non pochi imbarazzi politici. Perché gli italiani, popolo di proprietari o aspiranti tali, sul tema, si sa, sono particolarmente sensibili.

A dire il vero, se la cavò con una scrollata di spalle Ciriaco De Mita. Ma erano ancora i tempi della prima Repubblica. Correva l’anno 1988 e si discusse molto dell’attico in via Arcione, in pieno centro storico a Roma, a due passi dalla Fontana di Trevi, dove il leader democristiano traslocò con famiglia dalla meno lussuosa dimora in via Ardeatina. Quale lo scandalo? L’equo canone che De Mita pagava all’Inpdai, per un appartamento di circa 500 metri quadri più 200 di terrazzo (ma su questo le fonti non concordano). Ebbene, le cronache dell’epoca raccontano che l’allora presidente del Consiglio si rifiutò di cambiar casa, teorizzando il diritto della classe politica al privilegio. E la cronaca dei nostri giorni riferisce di una trattativa che il politico di Nusco starebbe portando a termine per l’acquisto, più di vent’anni dopo, di quel suo famoso attico. Il prezzo? Un terzo di quello di mercato, pare.

Molta meno fortuna dell’ex segretario della Dc, tocca invece in sorte ai leader della seconda Repubblica. E’ il 1995, quando Il Giornale, diretto da Vittorio Feltri, se ne esce con una lunga inchiesta sugli appartamenti affittati ai politici dagli enti previdenziali a prezzi super scontati. Sulla scia di Tangentopoli, lo scandalo viene ribattezzato Affittopoli e coinvolge tutto l’arco politico. Su Repubblica Giovanni Valentini a un certo punto tira le somme: “Sul terreno di Affittopoli, dove sono scese in campo le formazioni degli inquilini eccellenti – scrive - la sinistra batte la destra 15 a 9. La squadra guidata dal tandem D' Alema-Veltroni supera con largo margine quella capitanata dal terzetto Casini-Mastella-Tatarella”. Ma se i due centristi e l’aennino passano indenni attraverso il ciclone mediatico, i leader diessini pagano il conto a un elettorato molto meno disposto a tollerare privilegi di sorta. D’Alema cambia casa: “Non credo di aver goduto di particolari privilegi – dice in una puntata del Maurizio Costanzo Show – Ma mi sento in grande imbarazzo”. Walter Veltroni, da parte sua, chiede che l’affitto gli venga aumentato.

Negli anni successivi, è Silvio Berlusconi ad andare incontro a non poche grane (di tutt’altro genere, a dire il vero) per una delle sue ville. I sospetti sulle modalità di acquisto, per 5 miliardi di lire, dei terreni di villa Belvedere a Macherio (la sontuosa dimora oggi al centro dell’accordo di separazione con Veronica Lario, che dovrebbe ottenerne l’usufrutto a vita), è costata infatti a Berlusconi un processo (con assoluzione in primo e secondo grado) con le accuse di frode fiscale, appropriazione indebita e falso in bilancio. Ma anche la vicenda (senza strascichi giudiziari) dell’acquisto dell’altra dimora del premier, la villa San Martino ad Arcore, in passato ha fatto molto discutere. Si contesta infatti il prezzo (500 milioni per 3.500 metri quadrati, che pare valessero invece due miliardi) pagato nel 1974 da Berlusconi ad Annamaria Casati Stampa, unica erede del marchese Camillo, che nel 1970 aveva ucciso la moglie e l’amante di lei, prima di togliersi la vita. Chi cura la mediazione per l’acquisto della villa è Cesare Previti, avvocato della ragazza, ma soprattutto futuro uomo di fiducia del premier.

Arrivando ai nostri giorni, è il 30 agosto 2007 quando l’Espresso sbatte in prima pagina “Casa Nostra”, appendice di Affittopoli prontamente ribattezzata Svendopoli. Ossia: le case degli enti pubblici vendute ai politici a prezzi ribassati. Nel tritacarne mediatico finiscono decine di nomi. Dagli ex presidenti di Camera e Senato Luciano Violante e Nicola Mancino, al presidente della Consob Lamberto Cardia, al segretario della Cisl Raffaele Bonanni. E poi ancora Casini, Mastella, Veltroni. Sul settimanale piovono smentite e minacce di querela. Alcuni spiegano di aver comprato a prezzi scontati “per effetto non di un’elargizione personale, ma degli sconti collettivi” applicati a tutti gli inquilini di quei palazzi.

Nel 2010, infine, a inciampare su questioni di case sono prima Scajola, poi Fini. E’ già negli annali la vicenda dell’appartamento di via del Fagutale, di fronte al Colosseo. Soprattutto perché l’ex ministro dello Sviluppo economico ha dichiarato che se è vero che per l’acquisto sono stati pagati 900 mila euro in nero da Diego Anemone, ciò è avvenuto a sua insaputa. “Dal giorno delle dimissioni – racconta Scajola al Corriere della Sera, sottolineando di non aver ricevuto nemmeno un avviso di garanzia – non sono più rientrato nell’appartamento. Perché se davvero risulterà che è stato pagato in parte con soldi non miei non voglio più abitarci”. Ma intanto sul confronto con l’affaire Scajola il Giornale di Feltri ha costruito la richiesta di dimissioni di Gianfranco Fini, per quella casa di Montecarlo che era del partito ed è finita in affitto al cognato. “Lì era lui che firmava. Io non ho firmato mai nulla”, ha rigettato ogni paragone Scajola. Ma tant’è. Nel dossier case si scrive un nuovo capitolo.

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