Omicidio Regeni, la famiglia al Governo: "Serve cambio di rotta"

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Manifestazione per Giulio Regeni (archivio Getty)

I genitori del ricercatore rapito, torturato e ucciso in Egitto si rivolgono all'ambasciatore d'Italia al Cairo a 6 mesi dal rientro del diplomatico: "Subito video della metro e strategia investigativa comune”

La famiglia di Giulio Regeni chiede "un immediato cambio di rotta" nel lavoro dell'ambasciatore d'Italia al Cairo. Sono passati sei mesi dalla decisione del Governo di inviare nuovamente un nostro rappresentante in Egitto. L'omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore italiano rapito, torturato e ucciso al Cairo nel 2016, aveva creato forti tensioni diplomatiche. La famiglia di Regeni non usa mezzi termini e parla di "fallimento" della missione a lui affidata perché "doveva consentire il raggiungimento della verità processuale su tutto il male del mondo inferto su nostro figlio". Chiesta, infine, "l'immediata consegna dei video della metropolitana" e "la concertazione di una strategia investigativa" comune tra Egitto e Italia. 

Le parole dei familiari

“Temevamo che questo gesto sarebbe stato interpretato come una resa incondizionata a quel potere che ha annientato Giulio e che occulta impunemente la verità da ormai due anni”, dice la famiglia Regeni insieme al proprio legale Alessandra Ballerini. “E in effetti l'ambasciatore Cantini non aveva ancora fatto in tempo ad insediarsi che le autorità egiziane, forti di questa 'normalizzazione dei rapporti' provvedevano a oscurare il sito della Ecrf, l'Ong alla quale appartengono i nostri consulenti egiziani; arrestare in aeroporto l'avvocato Ibrahim Metwaly che stava recandosi a Ginevra invitato dall'Onu a riferire sulle sparizioni forzate e sul caso di Giulio (il legale è ancora in carcere, sottoposto a trattamenti inumani e degradanti); disporre una perquisizione e un tentativo di chiusura di Ecrf”.

“Video della metro mai consegnati”

"La decisione dell'invio dell'ambasciatore al Cairo del 14 agosto scorso - aggiunge la famiglia Regeni - seguiva di pochi minuti il comunicato congiunto delle Procure italiana ed egiziana nel quale si riferiva che 'è stata effettivamente affidata ad una società l'attività di recupero dei video della metropolitana e le attività stesse sono in corso'. La Procura egiziana ha ribadito l'impegno a condividere i risultati raggiunti. In realtà - riferiscono ancora i Regeni e l'avvocato Ballerini - i video della metropolitana non sono mai stati consegnati e, ad oggi, non si sa neppure se qualche e quale ditta sia stata incaricata del loro recupero”. 

L’incontro tra le Procure

“L'incontro tra le due procure poi, diversamente da quanto annunciato, non si è tenuto a breve, ma solo a fine dicembre su insistenza dei nostri procuratori che hanno consegnato ai colleghi egiziani una articolata e attenta ricostruzione dei fatti, effettuata dalla Polizia Giudiziaria italiana. La Procura generale egiziana si era impegnata, come si legge nel comunicato del 21 dicembre scorso a proseguire le indagini, sulla base anche delle ipotesi investigative formulate dai magistrati italiani". 

“Il fine della missione è fallito”

"Da allora - sostengono ancora i Regeni e il loro avvocato - non è stata registrata nessuna reazione da parte della magistratura egiziana sull'informativa italiana, che ricostruisce le precise responsabilità di nove funzionari di pubblica sicurezza egiziani perfettamente individuati. L'invio dell'ambasciatore doveva consentire il raggiungimento della verità processuale su tutto il male del mondo inferto su nostro figlio, il fine evidentemente non è stato raggiunto e la missione in questo senso è fallita". 

 

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