Usa, l’Alabama dà uno schiaffo a Trump: vince il democratico Jones

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Sconfitto per una manciata di voti il repubblicano Moore, appoggiato dal presidente nonostante le controversie sulle accuse di molestie sessuali

Il democratico Doug Jones ha vinto una corsa all'ultimo voto in Alabama, strappando ai repubblicani un prezioso seggio in Senato e sconfiggendo il favorito Roy Moore. E dando anche uno schiaffo al presidente Usa Donald Trump, che aveva appoggiato Moore nonostante le controversie sulle accuse di molestie sessuali.

Moore non concede la vittoria

A poco, quindi, è servito il “talismano” Sassy, il cavallo di Roy Moore in sella al quale l'ex giudice conservatore è andato a votare al seggio: Moore ha perso per una manciata di voti, ma ha perso. Comparendo fra i suoi sostenitori a Montgomery, però, non ha concesso la vittoria e ha preso tempo. Ha detto che è necessario finalizzare il conteggio dei voti, dato lo scarto estremamente limitato. Anche se i risultati non sono ancora ufficiali, Jones ha ottenuto il 49,92 per cento dei consensi (671,151 voti) contro il 48,38 per cento di Moore (650,436 voti).

L’impresa dei democratici

Per il fronte democratico questa sembrava un'impresa impossibile. Adesso ci si chiede se e quanto il voto afroamericano abbia influito in questo Stato del sud, lo Stato della marcia di Selma. Voto a cui aveva fatto appello nelle scorse ore anche l'ex presidente Barack Obama, che aveva esortato tutti ad andare alle urne: “Questa è una cosa seria”, aveva avvertito in un messaggio registrato e diffuso via telefono. Dal palco della vittoria, Doug Jones ha esaltato lo spirito dell'Alabama. “Il popolo dell'Alabama ha più in comune di ciò che lo divide. Abbiamo mostrato non solo all'Alabama, ma al Paese, che possiamo essere uniti”, ha detto. E ha citato Martin Luther King Jr: “L'arco dell'universo morale è lungo, ma tende verso la giustizia”.

Il tweet di Trump e le ombre

Clima diverso alla Casa Bianca. Trump ha twittato all'insegna del fair play, congratulandosi con Jones: “I repubblicani avranno un'altra chance per questo seggio molto presto. Non finisce mai!”, ha scritto. Questo, però, per lui è un terremoto e a Washington, nella West Wing, l'aria deve essere davvero pesante in queste ore. Perché il presidente Trump aveva “scommesso” su Moore e ha sbagliato. Gli era stato anche consigliato di rimanerne fuori, ma ha voluto ascoltare Steve Bannon e si è buttato. Il risultato di queste elezioni è un duro colpo per il Grand Old Party, che vedrà la sua già risicata maggioranza in Senato - di 52 seggi su 100 - ulteriormente ridotta. Potrebbe essere anche un segnale particolarmente significativo in vista delle elezioni di midterm del 2018 per il rinnovo del Congresso: la consultazione nello Stato “ruby red” (“rosso rubino”, per la sua tradizionalmente netta connotazione repubblicana) era considerata da molti un test.

La sconfitta di Moore

Moore non era stata la prima scelta del partito. E nemmeno del presidente, che alle primarie repubblicane aveva sostenuto il candidato Luther Strange, più gradito all'establishment Gop. Moore era invece più rappresentativo di quella fetta di partito che si ispira ai valori di Steve Bannon, l'ex stratega di Donald Trump che infatti ha fatto campagna sul campo fino all'ultimo minuto. Poi sono spuntate le accuse di molestie sessuali, con le rivelazioni del Washington Post secondo cui Moore avrebbe assalito sessualmente quattro donne all'epoca minorenni mentre lui era un noto avvocato ultratrentenne. Trump a quel punto ha taciuto a lungo e per settimane la Casa Bianca ha nicchiato, poi il presidente si è deciso e ha abbracciato la causa di Moore. Non un dettaglio – e non è passato inosservato ai critici e agli oppositori politici - visto che anche verso il tycoon sono state avanzate accuse di molestie sessuali.

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