Iran, i Pasdaran minacciano gli Usa dopo l’ipotesi di nuove sanzioni

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Mohammed Ali Jafari è il generale a capo dei Guardiani della Rivoluzione, la più potente forza di sicurezza interna ed esterna iraniana
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Il generale dei Guardiani della Rivoluzione, Mohammed Ali Jafari, ha dichiarato che se Washington dovesse uscire dall’accordo sul nucleare del 2015, le sue basi in Medio Oriente non sarebbero più al sicuro 

Nel caso in cui gli Stati Uniti dovessero approvare nuove sanzioni nei confronti dell’Iran, il comando militare Usa in Medio Oriente "dovrebbe preoccuparsi di trasferire le sue basi regionali a un raggio di 2mila chilometri di distanza dai missili iraniani". La minaccia arriva da Mohammed Ali Jafari, il generale a capo dei Guardiani della Rivoluzione, la più potente forza di sicurezza interna ed esterna iraniana. Le dichiarazioni, rilasciate durante il consiglio strategico dei Pasdaran, arrivano dopo una serie di indiscrezioni che vorrebbero una rottura sempre più probabile da parte americana dell'accordo tra Stati Uniti e Iran sul nucleare. Un’ipotesi avvalorata anche dal presidente Donald Trump che, incontrando i vertici militari lo scorso 6 ottobre, ha affermato che Teheran non avrebbe rispettato "lo spirito" dell'accordo.

Stati Uniti come l’Isis

Jafari, durante il suo intervento, ha aggiunto che se Washington, annullando il trattato, inserirà i Guardiani della Rivoluzione nella lista delle organizzazioni considerate terroristiche, i suoi uomini "considereranno l'esercito americano in tutto il mondo, e soprattutto in Medio Oriente, come Daesh". Il paragone con l’autoproclamato Stato islamico è particolarmente significativo perché i militanti sunniti dell’Isis rappresentano per l’Iran, i cui abitanti sono per la maggioranza sciiti, una minaccia reale che, lo scorso 7 giugno, è stata in grado di portare a termine un attacco al parlamento di Teheran e al mausoleo di Ayatollah Ruhollah Khomeini, fondatore della Repubblica islamica.

Accordo a rischio

Le frizioni tra i due Stati sono tornate ad accentuarsi quando, lo scorso agosto, Trump ha promulgato una legge che prevede nuove sanzioni contro il programma bellico dell'Iran, e in particolare contro le nuove esercitazioni missilistiche. Inoltre, l’accordo siglato nel 2015 prevede da parte statunitense che il presidente abbia la facoltà di decidere se secondo la sua opinione l'Iran stia rispettando il patto che Teheran ha siglato con sei grandi potenze. Un diritto che Trump dovrà esercitare entro il 15 ottobre e che, nel caso di esito negativo, non comporterà l'uscita automatica degli Usa dall'accordo ma aprirà un processo che, in prima istanza, potrebbe indurre Washington alla ripresa delle sanzioni a Teheran.   

La posizione iraniana

Prima della minaccia lanciata dal generale Mohammed Ali Jafari, si era espresso sulla questione il capo dell'agenzia per l'energia nucleare iraniana Ali Akbar Salehi affermando che: "Non è necessaria nessuna rinegoziazione. L'accordo va bene così com’è. Piuttosto constatiamo che negli Usa, su questo come su altri temi, c’è al momento una situazione di confusione". Dichiarazioni a cui avevano fatto seguito le parole del presidente dell’Iran, Hassan Rohani, che ha detto di considerare "irreversibili" i risultati raggiunti dal suo Paese con l'accordo sul nucleare del 2015, anche nel caso in cui "emergessero dieci Trump nel mondo" a metterlo in pericolo. Perché, secondo Rohani, nei negoziati con i poteri mondiali l’Iran ha dimostrato che "non è forte solo in guerra, ma lo è anche in pace". 

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