Web, non leggi i termini di servizio? Ecco che diritti cedi

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La Rete è popolata di contenuti creati da noi e pubblicati su piattaforme di condivisione. Ma i documenti che spiegano quali diritti cediamo ai siti sono spesso oscuri, infarciti di "legalese" e poco comprensibili. Lo conferma uno studio americano

di Raffaele Mastrolonardo

Negli ultimi mesi, complice anche il cosiddetto scandalo datagate, la privacy online è diventata un argomento molto caldo tra gli utenti del web. I colossi della Rete si sono dovuti difendere dalle accuse di essere troppo vicini alla National Secuity Agency, l'agenzia di intelligence Usa, e sul mercato hanno cominciato a fare capolino soluzioni che sostengono di rispettare maggiormente la riservatezza personale degli utilizzatori. Chissà se un simile cambiamento di opinione riguarderà prima o poi anche i termini di servizio sui contenuti generati dagli utenti, vale a dire quell'insieme di regole che stabiliscono quello che una piattaforma di condivisione come Facebook o YouTube può fare con i materiali pubblicati dagli iscritti. Questi documenti sono presenti in tutti i siti ma, nella maggior parte dei casi, sono ignorati o non compresi da chi li frequenta. Una delle ragioni di questa situazione, secondo uno studio americano da poco pubblicato, è che i testi sono per lo più oscuri, lunghi e difficili da leggere. Il risultato è che chi usa questi siti spesso e volentieri non sa che cosa può accadere a quanto pubblica con conseguenti equivoci e incomprensioni. “A causa della scarsa leggibilità, del 'legalese' e della mancanza di spiegazioni in linguaggio normale – si legge nella ricerca - , è probabile che gli utenti non siano a conoscenza dei diritti che cedono”.

Parole, parole, parole – Lo studio, realizzato da due ricercatori del Georgia Institute of Technology, ha analizzato i documenti relativi ai termini di servizio di 30 siti che ospitano contenuti generati dagli utenti e ha evidenziato le difficoltà che ostacolano una piena comprensione da parte degli utilizzatori. Il primo ostacolo, secondo gli autori dello studio, è che i termini di servizio sono prolissi e difficili da leggere. Nei 30 siti considerati dall'analisi, in media, la lunghezza dei documenti è di circa 3.850 parole, vale a dire circa 23 mila caratteri (in inglese). I ricercatori hanno poi misurato la leggibilità dei materiali in questione utilizzando il Flesch-Kincaid Grade Level Score, un indicatore della complessità dei testi. La media risultante (14,8 punti) indica che per comprendere i termini d'uso sono necessari, di norma, almeno due anni di college. Nel caso dei siti presi in esame, si va dagli 11,5 punti di Google Plus ai 16,6 di YouTube passando per i 12,9 di Facebook. Insomma, non ci vuole, come si dice, una laurea ma quasi.

Il “legalese” impera – E se il Flesch-Kincaid Grade Level Score determina il suo indice basandosi solo sulla lunghezza di frasi e parole e sul numero di sillabe, è anche il tipo di termini utilizzati, secondo i ricercatori, che complica le cose. Il linguaggio giuridico di cui sono infarciti non aiuta certo i profani a capire la natura del rapporto che si instaura tra loro e il servizio. Emblematico, dicono gli autori, un passaggio dei termini di uso di Facebook in cui si parla di “una licenza non esclusiva, trasferibile, che può essere concessa come sottolicenza, libera da royalty e valida in tutto il mondo, per l'utilizzo di qualsiasi Contenuto IP pubblicato su Facebook o in connessione con Facebook ("Licenza IP")”.

Babele linguistica – Come si evince da questa frase uno dei problemi è che le sfumature a cui ricorrono i siti per spiegare il tipo di rapporto di copyright che viene instaurato sono molteplici e la differenza non è sempre chiara. Gli studiosi segnalano, per esempio, che le licenze di cui si parla possono essere revocabili, irrevocabili, assegnabili, limitate, trasferibili, non ristrette, mondiali, solo per citare alcune delle varianti individuate. L'uso di un aggettivo o di un altro può avere conseguenze significative. Per esempio, dire che una licenza è “irrevocabile” significa che una volta che abbiamo ceduto ad un sito il diritto di usare il nostro contenuto non possiamo riprendercelo. In una simile babele le sorprese sono sempre dietro l'angolo. Il popolare sito di annunci Craigslist, per esempio, si riserva il diritto di “copiare, rappresentare, mostrare, distribuire, usare in opere derivate (inclusa la possibilità di incorporarlo in altri lavori) e usare altrimenti ogni contenuto che postate”. E dire che magari qualcuno voleva solo vendere la sua chitarra.

La soluzione di Pinterest – La ricerca rivela però che ci sono delle soluzioni che, con un po' di buona volontà, i servizi web di condivisione potrebbero mettere in atto per aiutare gli utenti. Un esempio positivo viene da Pinterest che affianca ai suoi termini di servizio una traduzione dal “legalese” al linguaggio ordinario inserita in riquadri preceduti dalla frase “In parole più semplici”. In questi box si possono leggere, per esempio, spiegazioni del genere “Puoi usare Pinterest a meno che tu non abbia meno di 13 anni. Inoltre, se il tuo capo Ti fa usare Pinterest, devi aprire un account business”. Oppure: “Se posti qualcosa su Pinterest il contenuto resta tuo ma noi possiamo mostrarlo ad altri e altri possono ripubblicarlo”. Linguaggio chiaro e comprensione facilitata. Il problema è che un simile accorgimento, molto semplice ed efficace, si trova però solo in 5 dei 30 siti analizzati nello studio.

E gli utenti? - Resta ora da vedere se in futuro gli utenti mostreranno un'attenzione verso le problematiche relative ai termini di servizio analoga a quella che sembrano mostrare in questi tempi verso la privacy. In passato è già successo che modifiche delle policy sui contenuti abbiano scatenato la reazione degli utilizzatori. Uno dei casi più eclatanti è stato quello di Instagram. Quando l'app di condivisione di foto annunciò che le foto caricate dagli iscritti sarebbero state usate per scopi promozionali, gli interessati reagirono con un boicottaggio costringendo il servizio a tornare sui suoi passi. Intanto da qualche anno in Rete circolano dei siti specializzati sull'argomento. Tra questi Terms of Service – Diden't Read che offre una valutazione dei termini di servizio di alcuni di principali siti della Rete. Se non vuoi proprio leggere i documenti c'è almeno qualcuno che lo fa per te.

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