Siria, il conflitto tra video falsi e immagini manipolate

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Negli ultimi giorni due casi hanno riportato alla ribalta la questione della falsificazione delle fotografie della guerra: il bambino che dormiva tra le tombe dei genitori e il fotografo di Ap licenziato perché sorpreso a ritoccare foto dei ribelli

di Nicola Bruno

L’ultimo caso che ha fatto discutere è stato quello di Narciso Contreras, fotoreporter di lungo corso di Ap e membro del team che ha vinto il Pulitzer l’anno scorso proprio per la copertura del conflitto siriano. Dopo un’indagine interna è emerso che aveva manomesso una foto dalla Siria, "cancellando" con Photoshop una telecamera che si vedeva nell’angolo in basso.

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Nonostante si tratti di un piccolo dettaglio, fatto giusto per rendere migliore lo scatto e non per falsificare un evento, Contreras è stato poi licenziato. Ap ha spiegato che rafforzerà le verifiche interne per evitare che episodi simili si ripetano in futuro. E altre testate online si sono dette d’accordo con la scelta. Anche perché non si tratta di un caso isolato: a ottobre 2012 Krone, il più letto quotidiano austriaco, ha pubblicato una foto sempre sul conflitto siriano in cui lo sfondo era stato completamente manomesso. Anche qui sono scattate subito le scuse.

Eppure, la manipolazione di Narciso Contreras è poca cosa rispetto alle tante immagini e video falsi che circolano online e sui quotidiani a proposito della Siria. Proprio nelle scorse settimane, un presunto scatto dal Paese mediorientale è diventato un tormentone virale online. A lanciare il “meme” è stato lo stesso leader dell’opposizione siriana Ahmed Jarba che in un tweet sulle presunte brutalità del regime di Assad sui minori, ha condiviso la foto di un bambino rimasto orfano che dormiva tra le tombe dei genitori (il tweet è stato poi rimosso, ma è stato salvato in formato immagine).



La foto ha subito preso a circolare sui social network, spesso definita come una delle “più toccanti” mai viste sul conflitto. Fino a quando il giornalista Harald Doornbos ha rivelato che si trattava di immagini scattate per un progetto artistico del fotografo saudita Abdul Aziz Al-Otaibi. Quest’ultimo si è detto sorpreso di come sia stata strumentalizzata la sua foto “che non ha nulla a che vedere con la Siria”. Sul suo profilo Instagram si possono ancora vedere gli scatti originali del set.





Ma sono stati i video a giocare un ruolo determinante nel recente dibattito sull’uso delle armi chimiche da parte del regime e dei ribelli. Si è rivelato del tutto falso, ad esempio, un filmato diffuso dall’emittente Russia Today che avrebbe dovuto dimostrare l’utilizzo di gas sarin da parte dei ribelli (eppure non era così, come aveva già precisato Elliot Higgins, il blogger britannico che da due anni segue il conflitto siriano e verifica l’utilizzo di armi attraverso il monitoraggio di oltre 650 canali YouTube). Eppure il video è stato al centro di lunghi dibattiti nella comunità internazionale (anche perché le autorità russe da tempo la tesi dell’uso di armi chimiche da parte dei ribelli).

Ma come ha documentato Ap in questo lungo servizio sull’impatto dei social media nella guerra siriana, anche moltissimi video diffusi dall’opposizione si sono rivelati del tutto “fabbricati”. E’ il caso del video che avrebbe dovuto mostrare come il regime di Assad seppelliva i ribelli da vivi. O quello in cui si sarebbero viste le milizie del regime spruzzare benzina sui prigionieri, accendere un fiammifero e bruciarli. Entrambi si sono rivelati non veri.

Per questo motivo molte testate hanno iniziato a diventare molto scrupolose nell’utilizzare filmati provenienti dalla Siria, per quanto questi spesso costituiscano l’unica fonte per raccontare la guerra in un paese che, secondo il Committee to Protect Journalists, è il più pericoloso al mondo per i giornalisti. 

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