Israele, Netanyahu non sfonda: parlamento spaccato

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Dopo la diffusione dei primi exit poll il premier canta vittoria: "E' chiaro che gli israeliani vogliono che continui a fare il primo ministro". Ma sarà costretto a formare un governo di coalizione: "La più ampia possibile"

Benyamin Netanyahu vince ma non sfonda e il trionfo annunciato nei giorni scorsi dai sondaggi si trasforma in un successo dal retrogusto amaro: il nuovo Parlamento israeliano partorito dalle urne, almeno secondo i primi exit-poll, appare spaccato, con un risicatissimo vantaggio del fronte delle destre. A uscire a sorpresa come il vero vincitore è invece il nuovo partito centrista laico di 'Yesh Atid', del giornalista tv Yair Lapid.

La lista Likud-Beitenu - frutto del patto tra Netanyahu e il suo ex ministro degli Esteri, il falco Avigdor Lieberman - conquisterebbe una trentina di seggi. Subito dopo ci sono appunto i centristi di Lapid, mentre i Laburisti di Shelly Yachimovich si piazzano terzi. Nelle previsioni, il risultato dell'altra star delle elezioni, il nazionalista religioso Naftali Bennett, di 'Bayit HaYeudi', che si sarebbe fermato a 12 seggi. Seguono i religiosi dello Shas.

La strada per il favorito Bibi - come è familiarmente chiamato in Israele - sembra dunque complicarsi e di molto. Anche se sulla carta, in base ad un calcolo puramente aritmetico e non politico, la destra, tutta compresa, avrebbe circa 62 seggi contro i 58 accreditati al centrosinistra (liste arabe comprese). Il premier ha cantato vittoria ("è chiaro che gli israeliani hanno deciso che vogliono che continui a fare il primo ministro"), ma si è subito premurato di avvertire che il suo dovrà essere un governo di coalizione, "la più ampia possibile".

Insomma, la politica delle alleanze si impone su un voto che fotografa un Paese diviso. E se i dati fossero confermati (per conoscere quelli definitivi bisognerà aspettare la mattina di mercoledì 23 gennaio), si inaugura una stagione di trattative e compromessi prima di arrivare alla formazione del nuovo esecutivo: esattamente il contrario di quello che si attendeva Netanyahu, che per tutta la campagna elettorale aveva chiesto una premiership forte con una nazione unita dietro di lui in modo da poter affrontare le numerose sfide che attendono Israele, dal dossier Iran, al riavvio delle trattative di pace, allo spinoso rapporto con gli Usa di Barack Obama e con la diplomazia europea sulla politica edilizia di espansione delle colonie nei Territori, seguita dal premier dopo l'accredito della Palestina all'Onu come Stato non membro.

Ago della bilancia è a questo punto il centrista Lapid, che nella fase pre-elettorale si è già dichiarato disponibile ad una collaborazione governativa con Netanyahu. Ora, però, dopo l'eclatante affermazione elettorale, potrebbe alzare il prezzo o andare verso altri lidi e seguire l'appello avanzato dagli altri partiti di centro e di sinistra per un governo senza Netanyahu. Fatto sta che queste elezioni hanno avuto un esito diverso da quello che molti commentatori e analisti davano invece per scontato: non solo per il risultato finale, ma anche per l'affluenza al voto, la più alta degli ultimi anni.

Un aspetto che ha sorpreso molti e che sembra l'indice di un Paese in cerca di un'alternativa all'immobilismo che - a giudizio di alcuni - ha segnato le stagioni più recenti. E non solo in politica estera ma anche in quella interna, dove i morsi di una crisi crescente hanno indebolito la classe media e portato nelle piazze la gente sempre piu' in difficollta' con il caro vita. Una denuncia e un malcontento che Lapid ha saputo intercettare: la gente lo ha ha votato nella speranza di dare una svolta.

Ora il pallino è nelle mani del presidente Shimon Peres: dovrà affidare l'incarico, e non potrà esimersi dallo scegliere in prima battuta Netanyahu. Ma la strada per il premier in pectore è stasera tutt'altro che in discesa.

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