Il Giappone svolta a destra, tracollo dei democratici

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Alle elezioni trionfano il liberaldemocratici di Shinzo Abe che raddoppiano i seggi, sfiorando quota 300 su 480 nella Camera Bassa. A pesare sul voto la doppia recessione, ma soprattutto il dramma dello tsunami del 2011 e la successiva crisi nucleare

Il Giappone svolta a destra e torna sotto il controllo dei Liberaldemocratici di Shinzo Abe, archiviando dopo 3 anni e quattro mesi l'esperienza al governo dei Democratici (Minshuto o DpJ) che incassano una delle peggiori sconfitte dalla fondazione, conservando solo un sesto circa degli oltre 310 seggi conquistati nel 2009. "La vittoria è la prova del fallimento dei Democratici", ha commentato Abe in conferenza stampa nella sede del partito, un “falco” della difesa territoriale (anche con le modifiche da apportare alla costituzione pacifista), favorevole alle politiche energetiche nucleari e convinto sostenitore di una politica di allentamento monetario senza limiti per battere la deflazione, anche a costo di stravolgere l'indipendenza della Bank of Japan.

Tracollo dei democratici - I Liberaldemocratici (Ldp o Jiminto) si prendono la rivincita sui Democratici più che raddoppiando i seggi e sfiorando quota 300 sui 480 della potente Camera Bassa, a fronte del tracollo dei rivali, precipitati sotto quota 60, con bocciature clamorose come quella dell'ex premier Naoto Kan. Il Jiminto, insieme alla trentina di deputati dell'alleato tradizionale New Komeito, sale alla maggioranza dei due terzi gettando le basi per rivedere la costituzione imposta dagli Usa nel 1947 e scavalcare gli ostacoli all'azione di governo da parte della Camera Alta, dove non c'è una maggioranza ben definita.
Il premier Yoshihiko Noda, che aveva puntato tutto sul risanamento dei conti e il varo del raddoppio dell'Iva dall'attuale 5% al 10% del 2015 per ristrutturare le spese di welfare e social security, ha ammesso la sconfitta ("è un risultato molto severo, ma è il giudizio del popolo giapponese") e annunciato le dimissioni da presidente del DpJ.

Dalla recessione alla crisi nucleare
- Le speranze nate ad agosto 2009 con il “change” lanciato dal Minshuto di Yukio Hatoyama, mutuato sull'onda del successo di Barack Obama alla Casa Bianca, sono progressivamente naufragate: i Democratici, come i Liberaldemocratici, hanno espresso tre premier in altrettanti anni (Hatoyama, Kan e Noda), tra lotte intestine, scontri, scissioni e mancate promesse elettorali, aggravate dalla gestione a volte contraddittoria come nel caso della doppia recessione e, soprattutto, del devastante sisma/tsunami dell'11 marzo 2011, all'origine della grave crisi nucleare di Fukushima, la peggiore da quella di Cernobyl.
Le incertezze sulle politiche energetiche - con il proposito di abbandonare il nucleare entro il 2040, poi modificato e infine riesumato in campagna elettorale - ha portato disorientamento, al punto che il Jiminto, favorevole all'atomo a uso civile, ha fatto quasi il pieno addirittura nei collegi uninominali della prefettura di Fukushima.

Anche il “terzo polo” sotto le attese
- Tra i tentativi di “terzo polo”, la performance migliore, pur se sotto le attese, l'ha avuta il partito della Restaurazione del Giappone, lanciato dal giovane sindaco populista di Osaka, Toru Hashimoto, e guidato dall'altrettanto populista Shintaro Ishihara, ex governatore di Tokyo: 54 seggi nei conti ufficiosi, poco sotto quelli dei Democratici e non sufficienti per avere un peso nelle politiche del blocco Jiminto-New Komeito. Il partito anti-nucleare (Il Giappone di domani) della governatrice di Shiga, Yukiko Kada, si è fermato al momento a quota 8 seggi.

Volano le azioni della Tepco – E, intanto, le azioni di Tepco, la società cui faceva capo la centrale nucleare di Fukushima, hanno reagito con un balzo del 33% al risultato delle elezioni in Giappone. Il trionfo dei conservatori potrebbe infatti portare a un rallentamento nella strategia di uscita dall'atomo. In rialzo anche le altre utility attive nel nucleare: Chubu ha guadagnato il 9,59%, Kansai il 17,64%.

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