La Libia, i giornalisti, e l'insidia della propaganda

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Una foto, diffusa dal sito Onedayonearth, mostra le presunte "fosse comuni" sulla spiaggia di Tripoli
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Fosse comuni, bombardamenti, esecuzioni. Molti "testimoni" e qualche video da fonte incerta raccontano storie drammatiche dal paese di Gheddafi. Ma le notizie dilagano non verificate. Con il rischio di inciampare nella disinformazione. La storia insegna

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di Daniele Troilo


Oggi la Libia, ieri la Romania. E la necessità di imparare dalla storia. Questa storia: nel 1989, pochi giorni prima di Natale, i giornali e le tv di tutto il mondo mostrano la scena di una fossa comune alle porte di Timisoara. Il paese, sconvolto dagli scontri e dalle rivolte interne, sta voltando le spalle a Ceausescu. Quell’immagine - con i corpi torturati di uomini, donne e bambini - è la “prova” della crudeltà e dell’infamia del suo regime. Solo dopo un mese, e dopo l'esecuzione della condanna a morte del dittatore, comincia a emergere un’altra verità: quelle persone erano morte di malattia in ospedale, prelevate dall’obitorio e portate in strada per confezionare quella scena e mostrarla ai giornali di tutto il mondo. Non che quello di Ceausescu non fosse un regime. Ma la trappola della propaganda attraverso la disinformazione aveva condizionato l'opinione pubblica mondiale. Un'arma utilizzata spesso quando c’è una guerra.

In questi giorni il mondo osserva tra mille difficoltà la tragedia del popolo libico. Il regime del colonnello Gheddafi ha imposto una forte censura ai media e, nonostante i reporter stranieri siano riusciti finalmente a entrare nel Paese, possiamo affermare che in generale la stampa internazionale sa poco di quello che sta davvero accadendo in Libia. Le notizie si rincorrono velocemente, la concitazione prende il sopravvento. Il rischio di non poter verificare quel che si dice è concreto. C’è chi parla di mille morti, chi addirittura di 10 mila. Quest’ultima stima, fatta da un membro libico del tribunale penale internazionale, diventa la notizia. Con la “N” maiuscola. E c’è anche chi, come il sito Onedayonearth, diffonde un video che mostra decine di uomini al lavoro a Tripoli per scavare quelle che sembrerebbero delle fosse comuni. La notizia fa subito il giro del mondo, ma su quelle riprese si apre un altro dibattito: sicuri che quelle mostrate siano realmente delle fosse comuni?

Luca Sofri, sul Post, non ha nascosto i suoi dubbi: “Quelle che si vedono nelle foto e nel video non sembrano fosse comuni: sembrano un cimitero, e qualcuno lo ha anche identificato su Google Maps: è il cimitero di Ashaat”. L’inviato di Repubblica Vincenzo Nigro, nel suo resoconto da Tripoli, riporta il parere di un libico: “Quella non è una fossa comune”. E sul Giornale anche Marcello Foa mette in guardia dal “rischio propaganda sulla verità”. Il dibattito si è infiammato anche su alcuni blog italiani, dove c’è chi parla di “puzza di Kosovo”, riferendosi alle notizie che avevano innescato nel 1999 l'intervento della Nato nella ex-Jugoslavia. “La sensazione è che anche questa volta ci vorrà del tempo per separare il vero dal falso”, hanno scritto alcuni su internet.
Anche all’estero i quotidiani che hanno rilanciato il video hanno messo le mani avanti. Il Daily Telegraph, nel pubblicare le immagini (“che pretendono di mostrare delle fosse…”) e dopo aver dato alcuni numeri sulle persone uccise, avverte: “Non è stato possibile verificare indipendentemente queste cifre”.

Oltre al video diffuso dal sito Onedayonearth ce ne sono altri che in queste ore vengono diffusi su tutti i circuiti televisivi internazionali. In uno di questi, mostrato per prima da Al Jazeera, si vedrebbero dei disertori torturati e fucilati. Quindi, lasciati in strada a mo’ di avvertimento per tutti gli altri soldati. Anche in questo caso le immagini sono molto forti, ma non c’è nessun reporter sul posto in grado di verificarne l’autenticità. Gli uomini sarebbero stati fucilati, ma non si vedono tracce di sangue a terra. E le gambe di uno degli uomini distesi al suolo si muovono durante le riprese. La sequenza è molto cruda e si rimane sgomenti pensando all’idea che possa essere reale.
Noi non vogliamo dire che questo video non racconti una storia vera, ma abbiamo sempre il dovere di farci qualche domanda in più. Dalla Libia di oggi trapelano notizie di bombardamenti e violenze inaudite. Che Gheddafi non stia usando la mano morbida con il suo popolo in rivolta non ci sono dubbi. Ma di aerei che sganciano bombe non ci sono al momento testimonianze dirette, né in video, né in audio. Nessun italiano rientrato dal Paese, né il nostro ambasciatore a Tripoli, hanno visto con i loro occhi bombardamenti sulla città.
Il rischio, come ha ammesso Jon Williams, della Bbc, è di affidarsi alle fonti sul posto, che in buona fede riportano quanto hanno sentito da altri o creduto di vedere, ma non consentono di verificare indipendentemente quel che accade: “Significa che abbiamo una responsabilità in più: essere chiari con i nostri spettatori dicendo non solo quel poco che sappiamo, ma cosa più importante, quel che non sappiamo”. Significa che c'è sempre il rischio di farsi involontari portavoce di chi ha interesse a manipolare la realtà o semplicemente a raccontarla esaltandone degli aspetti e nascondendone altri.

Gli esempi, oltre al “ finto massacro” di Timisoara, non mancano. Nel 1992 dei reporter inglesi immortalarono la scena di alcuni prigionieri musulmani al di là di un filo spinato, che lasciava presupporre l’esistenza di un campo di concentramento. Dopo cinque anni un giornalista tedesco svelò l’inganno: “Nessun campo di concentramento, il filo spinato serviva per proteggere dai vandali un generatore elettrico e una baracca”. Un anno prima, nel 1991, si era verificato invece il caso del cormorano durante la Guerra del Golfo. Il mondo si commosse davanti alle immagini del volatile ricoperto di catrame che agonizzava nelle acque del Golfo Persico. Quell'uccello diventò il simbolo della crudeltà di Saddam, peccato che le immagini non fossero state girate in quell'occasione...
E, per restare ai fatti più recenti, sono di pochi mesi fa le scene dell’attacco israeliano alle navi degli attivisti filo-palestinesi al largo di Gaza. Sull'episodio la Reuters ha pubblicato immagini opportunamente ingrandite per evitare che si vedesse che gli attivisti filo-palestinesi erano armati di coltelli. Facendo infuriare gli israeliani, che però a loro volta avevano fatto circolare video della stessa azione in cui non si vedevano i colpi di arma da fuoco sparati dai loro soldati.

Tutti i video sul caos e gli scontri in Libia:

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