Tunisia, sale il numero dei morti

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Secondo il governo le vittime degli scontri per il pane sarebbero 14, ma una radio afferma che il numero è salito a 50. Dall'opposizione appelli per fermare la polizia. FOTO E VIDEO

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Le notizie che dalle regioni centrali del Paese giungono fino a Tunisi sono drammatiche, con scontri nelle strade che hanno causato tra sabato e domenica 14 morti secondo fonti governative, 28 secondo altre testimonianze, fino a 50 stando al sito online della radio tunisina Kalima. Ma la capitale sembra registrarle con ostentata indifferenza. La domenica è passata tranquilla nel centro, con i negozi chiusi, il vuoto lasciato dalla partita che si è giocata allo stadio e tanti agenti in borghese a tenere d'occhio la situazione. Eppure, informa appunto lo stesso governo in un comunicato diffuso nel pomeriggio, 14 persone sono morte nelle ultime 24 ore nelle localita' del nord-ovest, Thala e Kasserine. E anche la tv di stato ha trasmesso per la prima volta un'edizione straordinaria con un servizio sugli scontri nell'interno del Paese.

Ma un leader dell'opposizione Ahmed Nejib Chebbi, capo del Pdp (Partito democratico progressista) e candidato alle ultime presidenziali, aveva già lanciato l'allarme parlando di almeno 20 morti nelle due località, rivolgendo un appello al presidente Zine Abidine Ben Ali affinché dia alla polizia l'ordine di non sparare più. Deve "far cessare il fuoco", ha detto, per risparmiare la vita di persone innocenti e rispettare il loro diritto a manifestare. Appelli analoghi giungono anche dall'Udu (Unione democxratica unionista), un altro partito d'opposizione che ha otto seggi in Parlamento, dal Movimento Ettajdid (un seggio in Parlamento) e dalla Lega per la difesa dei diritti umani (Ltdh). Quest'ultima ha chiesto di "rimandare l'esercito nelle caserme".

Ancora più grave il bilancio che trae nel pomeriggio il giornalista e blogger Zied el-Heni, una lunga storia anche per lui all'opposizione se è vero che il suo blog è stato censurato, dice, ben 180 volte. I morti nelle ultime 24 ore sono almeno 28, precisa, 17 a Kasserine, 3 a Rgeb e 8 a Thala, "due dei quali oggi mentre partecipavano ai funerali di altre vittime". Fra i morti di Rgeb, aggiunge, anche una bambina che stava tentando di soccorrere un ferito. Quanto a coloro che hanno perso la vita dandosi fuoco, sono quattro finora, e fra questi anche un diciassettenne di una scuola ad Ariana, sulla costa orientale. Aveva partecipato ad una manifestazione con gli studenti del suo liceo e sarebbe stato punito. "E' morto venerdì - dice il blogger - due giorni dopo essersi immolato". Mentre in serata secondo il sito di radio Kalima i morti sarebbero fino a 50.

E la gente continua a manifestare - aggiunge el-Heni - o almeno tenta di farlo. "Ma la gente va in strada non soltanto per protestare contro la disoccupazione e chiedere misure di sviluppo - aggiunge - Ora lo fa anche contro la corruzione". Ormai la rabbia della gente ha superato il livello di guardia, dice ancora el-Heni, "anche se non è ancora arrivata al punto di non ritorno". Insomma, il governo può fare ancora qualcosa per fermare l'ondata di proteste che da settimane continua in Tunisia: può por fine alla "confisca dei diritti civili", spiega, e può "cercare un dialogo con tutti i soggetti del Paese e con la vera opposizione", non limitandosi ad un "monologo con partiti che non rappresentano nessuno", ma confrontandosi con chi ha idee diverse. A partire dal Pdp - spiega - e dai sindacati che ieri hanno portato a Tunisi la protesta.

Di un potere che, anche quando sta all'opposizione, non è più in grado di trovare ascolto tra la gente parla anche Moktar Tlili, giornalista e membro del PSl (Partito social liberale), che divide in due anche geograficamente il Paese. "Ci sono due Tunisie, dice, quella più ricca della costa e "tutto un altro mondo, la Tunisia interna: qui mancano le infrastrutture, l'agricoltura è ridotta a zero dal clima arido e domina la disoccupazione". Ma qui arrivano anche i canali satellitari del Golfo, aggiunge, impregnati di immagini di guerra e di politica mediorientale. "Per la prima volta vediamo la gente che si dà fuoco, un fenomeno estraneo al nostro Paese, che viene dalla televisione". Insomma, conclude, il gesto di chi si immola cospargendosi di benzina non è troppo lontano da quello di chi si fa esplodere negli attacchi suicidi in altre parti del mondo arabo.

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