Jafar Panahi ha iniziato lo sciopero della fame

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Il regista iraniano è agli arresti domiciliari dall'inizio di marzo. L'artista, vincitore del Leone d'oro a Venezia nel 2000, è una delle voci più critiche del presidente Ahmadinejad. La notizia irrompe a Cannes, la Binoche scoppia in lacrime. LE FOTO

IRAN, IL VOLTO DELLA PROTESTA

Jafar Panahi ha iniziato lo sciopero della fame. La notizia irrompe al Festival di Cannes durante la conferenza stampa del film di Abbas Kiarostami e anche l'attrice Juliette Binoche scoppia in lacrime.
"Non si può restare indifferenti di fronte a una tale mobilitazione che richiede una risposta e poi comunque il fatto che un cineasta sia imprigionato lo ritengo una cosa davvero intollerabile". Si espone cosiì contro il governo iraniano Kiarostami in difesa di Panahi, il suo collega e connazionale agli arresti domiciliari dal mese di marzo.

La notizia dell'estrema forma di protesta di Pahani è giunta nel corso della conferenza stampa di 'Copia conforme', nelle sale italiane da mercoledì 19 maggio e distribuito da Bim.
Una conferenza stampa iniziata dal cineasta Kiarostami con un accorato appello-difesa dopo che anche il quotidiano Liberation negli ultimi giorni, e più volte i suoi stessi colleghi in esilio, lo avevano attaccato per una sorta di disimpegno nel prendere posizione verso i vertici dell'Iran paese dove, tra l'altro, ancora vive.

Kiarostami aveva esordito riferendo di aver ricevuto una telefonata dalla moglie di Panahi - che in segno di omaggio era stato invitato a far parte della giuria del Festival Cannes - e aveva dichiarato di aspettarsi buone notizie. Poi, è stata prima una giornalista iraniana commossa (cosa che ha fatto riempire gli occhi di lacrime anche la protagonista del film Juliette Binoche) e poi il moderatore dell'incontro a confermare lo sciopero del cineasta.
Nell'appello Kiarostami aveva anche ricordato, rivolgendosi ai suoi colleghi iraniani, come avesse già  chiaramente preso posizione verso l'arresto non solo di Panahi, ma anche di Mohammad Rassoulof con una lettera aperta del 9 marzo 2010 sul New York Times, in cui rivendicava appunto, come si legge nel documento il fatto che questi due artisti appartengono alla cultura mondiale. "Convinto - si legge nell'appello - che una voce pietosa non sia vana, spero di non vedere più imprigionato un'artista per motivi legati alla sua arte, e di non vedere i giovani cineasti indipendenti sottomessi al disprezzo e alla discriminazione".

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