Pensioni, secondo la Consulta è legittimo il bonus sulle perequazioni

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La Corte costituzionale ritiene che la norma “realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica”. Respinti dubbi di incostituzionalità del decreto-legge n.65 del 2015. Soddisfatto il ministro del Lavoro Poletti

Il bonus Poletti sulle perequazioni pensionistiche è legittimo. Lo ha deciso la Corte Costituzionale, che ha respinto i dubbi di incostituzionalità che erano stati sollevati. La Consulta ritiene che la norma “realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica”. Soddisfatto il ministro del Lavoro Giuliano Poletti.

Come si è arrivati alla sentenza

La questione della perequazione dei trattamenti pensionistici è stata ereditata dalla riforma Fornero ed era già stata oggetto di un ricorso. Al centro c’era il cosiddetto decreto legge “Salva Italia”: per mettere in sicurezza i conti pubblici, a fine 2011 era stato varato dal governo Monti il blocco per il biennio 2012-2013 della rivalutazione delle pensioni, salvando la perequazione solo per gli assegni di importo massimo non superiore a 1.404 euro lordi (cioè 3 volte il trattamento minimo). La Corte costituzionale, con la sentenza 70/2015, ha dichiarato illegittima questa disposizione, determinando però un problema per i conti pubblici: il riconoscimento a posteriori del mancato adeguamento all'inflazione era stato stimato in 24 miliardi di euro. Il governo Renzi, quindi, nella primavera del 2015 è corso ai ripari varando il decreto legge 65/2015, con cui ha riconosciuto in parte quanto non pagato ai pensionati e con cui è stato introdotto un nuovo meccanismo di perequazione riferito al biennio 2012-2013. Il cosiddetto “bonus Poletti”, un rimborso, ha stabilito la perequazione al 100% per assegni fino a 3 volte il minimo; del 40% tra 3 e 4; del 20% tra 4 e 5; del 10% tra 5 e 6; nullo per importi oltre sei volte il minimo. La conseguenza è stata una “spesa” per lo Stato di soli 2,8 miliardi di euro contro i 24 stimati. La misura, però, è stata considerata parziale dai ricorrenti, che lamentavano penalizzazioni per “sei milioni di pensionati”. Si è arrivati, quindi, all’appello bis e alla nuova sentenza della Consulta.

I motivi della decisione

La Corte ha ora valutato la legittimità del decreto legge 65/2015. Una decisione diversa avrebbe potuto avere pesanti ricadute sui conti pubblici, in quanto in ballo c’erano oltre 21 miliardi di euro. La Consulta, si legge nel comunicato diffuso al termine dalla camera di consiglio, ha respinto le censure di incostituzionalità del decreto-legge n. 65 del 2015 in tema di perequazione delle pensioni, che ha inteso “dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015”. La Corte ha ritenuto che, “diversamente dalle disposizioni del ‘Salva Italia’ annullate nel 2015 con tale sentenza, la nuova e temporanea disciplina prevista dal decreto-legge n. 65 del 2015 realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica”.

Le reazioni

Dopo la sentenza, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha espresso “soddisfazione”. “Eravamo convinti della bontà della scelta”, ha detto. E ha spiegato che “quando l'abbiamo fatto (il bonus, ndr) eravamo convinti di fare una cosa rispettosa della sentenza che la Corte aveva emesso, dovendo peraltro tenere conto di un altro principio costituzionale che è la tenuta del pareggio di bilancio. Bisognava trovare un equilibrio e se oggi la Corte conferma che la scelta era corretta, non possiamo che esprimere soddisfazione”. Di tono opposto il commento di Ivan Pedretti, segretario generale dello Spi-Cgil: “Prendiamo atto della sentenza. Resta però irrisolto il problema del reddito dei pensionati, che in questi ultimi anni ha perso sensibilmente di valore e non è stato degnamente rivalutato”. “Ai pensionati – ha aggiunto Pedretti – resta l'amaro in bocca sia perché si sono visti sottrarre delle risorse sia perché queste sono finite nel debito pubblico anziché essere utilizzate per aiutare i giovani. A questo punto c'è assolutamente bisogno di un nuovo meccanismo di rivalutazione che sostenga il potere d'acquisto dei pensionati”.

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