Dopo duemila anni la Cina liberalizza il mercato del sale

Economia
Il provvedimento è stato annunciato nell'ottobre del 2016 dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme di Pechino (Getty Images)
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Dal 1° gennaio 2017 i produttori possono impostare i prezzi e vendere direttamente, anche se la maggior parte delle aziende continua ad essere controllata direttamente dallo Stato 

L’arrivo del 2017 ha messo fine a uno dei monopoli più antichi al mondo: quello del sale in Cina. Il provvedimento era stato annunciato nell'ottobre del 2016 dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme di Pechino. E ora, a partire dal 1° gennaio 2017, i produttori possono impostare i prezzi e vendere direttamente al mercato. La liberalizzazione, secondo il Governo cinese, ha lo scopo di incoraggiare la concorrenza e la vendita del sale tra le diverse le regioni del Paese. Ma anche di “ottimizzare la qualità del bene”. I produttori, però, sono tenuti a vendere il sale a un prezzo stabilito "in base al costo di produzione e alla domanda e offerta sul mercato".

 

Duemila anni di storia – Il sale è entrato a far parte dell’alimentazione umana principalmente come conservante e nel corso dei secoli è diventato un bene di prima necessità. In Cina si sono accorti della sua importanza molto presto, tanto che, secondo molti storici, il monopolio risale alla dinastia degli Han anteriori (206 a.C.-9 d.C.). Il controllo del mercato del sale, però, non è stato appannaggio esclusivo delle dinastie del Celeste impero, nè della tormentata fase repubblicana di inizio '900. Anche al Partito comunista, dopo la sua ascesa al potere nel 1949, parve naturale mantenere il monopolio.

 

Il primo passo – Già nell’aprile del 2016 il Consiglio di Stato cinese aveva contribuito a una prima apertura ai privati del mercato del sale. Il provvedimento garantiva ai produttori di fissare il prezzo e di decidere i canali di distribuzione, anche se il Governo manteneva il potere di concedere le licenze. Inoltre Pechino si riservava il diritto di intervenire sul mercato nel caso di fluttuazioni “anomale” dei prezzi.

 

Liberalizzazione a metà – Secondo il "Financial Times" il cambiamento sarebbe la conseguenza di un crollo della redditività di questo settore. Le circa 10 milioni di tonnellate di sale prodotte dalla Cina, infatti, avrebbero fatturato nel 2015 “solo” 21 miliardi di yuan, circa 4 miliardi di dollari. La liberalizzazione per Zou Jialai, l’avvocato che ha rappresentato negli anni le maggiori aziende "private" del settore e che è stato intervistato del quotidiano londinese, sarebbe stata realizzata solo a metà. “Ora che i produttori possono vendere direttamente al mercato, i prezzi certamente crolleranno e i consumatori avranno maggiori possibilità di scelta”, ha dichiarato. Ma "si tratta di un'apertura verso le aziende produttrici di sale e non verso altre società”, ha precisato Zou Jialai. Insomma, “è ancora essenzialmente un monopolio di Stato". La stragrande maggioranza dei circa 100 produttori di sale è infatti di proprietà statale e per i privati, dall'esterno, è “praticamente impossibile” superare gli ostacoli burocratici ed entrare nel mercato.

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