Italia fragile, Comuni ancora edificano in zone a rischio idrogeologico

Cronaca
Livorno dopo l'alluvione di settembre 2017
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Dossier "Ecosistema a rischio 2017" di Legambiente: preoccupano anche i dati sulla cementificazione dei letti dei fiumi. Il 9% delle amministrazioni a elevata pericolosità ha dichiarato di aver "tombato" tratti di corsi d'acqua sul territorio 

"Italia sempre più fragile e insicura, incurante dell'eccessivo consumo di suolo e del problema del dissesto idrogeologico mentre i cambiamenti climatici amplificano gli effetti di frane e alluvioni". È il ritratto del nostro Paese scattato dal nuovo rapporto di Legambiente "Ecosistema a rischio 2017" secondo il quale sono oltre 7 milioni e mezzo gli italiani che vivono o lavorano in aree a rischio. Il dossier riaccende i riflettori su una prevenzione ancora debole sul territorio, visto che si continua a costruire in zone pericolose o a "tombare" fiumi.

Costruzione "scellerata"

L'indagine nasce dalle risposte fornite da 1.462 amministrazioni al questionario inviato ai 7.145 comuni classificati ad elevata pericolosità idrogeologica (oltre l'88% del totale) secondo i dati dell'Ispra. Il quadro che emerge è da bollino rosso: nel 70% dei comuni intervistati si trovano abitazioni in aree a rischio, nel 27% sono presenti interi quartieri, nel 50% dei sorgono impianti industriali. Scuole o ospedali si trovano in aree a rischio nel 15% dei casi, mentre nel 20% dei comuni si trovano strutture ricettive o commerciali in aree a rischio. Dalle tragedie però, come l'ultima a Livorno, non si riesce ad imparare. Legambiente rimarca che "la costruzione scellerata" non è infatti un fenomeno solo del passato. Dal dossier emerge che il 9% dei comuni (136) ha edificato in aree a rischio negli ultimi dieci anni. Di questi 110 hanno costruito case, quartieri o strutture sensibili e industriali in aree vincolate, nonostante il recepimento dei piani di assetto idrogeologico nella pianificazione urbanistica.

Fiumi "tombati"

Preoccupanti anche i dati sulla cementificazione dei letti dei fiumi: anche se il 70% dei comuni intervistati (1.025 amministrazioni) svolge regolarmente attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d'acqua e delle opere di difesa idraulica, il report indica che il 9% delle amministrazioni ha dichiarato di aver "tombato" tratti di corsi d'acqua sul proprio territorio, con una conseguente urbanizzazione delle aree sovrastanti. Soltanto il 4% ha delocalizzato le abitazioni costruite in aree a rischio e il 2% ha spostato fabbricati industriali.

Italiani "schiappe" su prevenzione

Italiani "bravi a inseguire l'emergenza" ma "schiappe" sulla prevenzione, visto che si continua a costruire su "aree fragili, parchi, fiumi, zone franose". Erasmo D'Angelis, segretario generale dell'Autorità di distretto dell'Italia centrale, commenta così i dati presentati da Legambiente. "In Italia non ci manca nulla a livello di rischiosità", aggiunge, "abbiamo di tutto, eppure proseguono le follie urbanistiche" che portano a "un'espansione senza freni, con l'aiuto di tre condoni edilizi che hanno sanato cose insanabili". D'Angelis ha portato l'esempio di Roma, "la più esposta a rischio alluvione in Europa", con 250-300mila romani in zone pericolose. Una città, afferma, "che ormai non regge nemmeno più un acquazzone". 

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