Vajont: Napolitano, non fu fatalità, colpe umane

Cronaca
La valle del Vajont 50 anni dopo il disastro (Getty Images)

Il 9 ottobre 1963 una frana si staccò dal monte Toc e piombò sulla diga. Il presidente della Repubblica: "Non fu una tragica, inevitabile fatalità". Pietro Grasso, a Longarone per rendere omaggio alle 2mila vittime: "Lo Stato deve darvi delle risposte"

Un disastro ma non "una tragica, inevitabile fatalità". Una tragedia che costò la vita a quasi 2mila persone come "drammatica conseguenza di precise colpe umane". Con queste parole di Giorgio Napolitano, e con le celebrazioni ufficiali a Longarone, l'Italia si ferma a ricordare la frana del Vajont del 9 ottobre mezzo secolo fa. 
Vajont, 50 anni dopo: il video



Il messaggio del presidente della Repubblica - Le responsabilità all'origine del disastro vanno "denunciate", non "sottaciute", ha sottolineato il capo dello Stato nel messaggio inviato in occasione dell'anniversario. "È con questo spirito che il Parlamento italiano ha scelto la data del 9 ottobre quale 'Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall'incuria dell'uomo', riaffermando così che è dovere fondamentale delle istituzioni pubbliche operare, con l'attivo coinvolgimento della comunità scientifica e degli operatori privati, per la tutela, la cura e la valorizzazione del territorio, cui va affiancata una costante e puntuale azione di vigilanza e di controllo".

Le celebrazioni dell'anniversario
- "Voi avete il diritto di chiedere risposte, lo Stato, quello Stato che oggi qui rappresento, ha il dovere di darvele, per rendere giustizia alle vittime, ai loro familiari, ai superstiti, e per riscattarsi dalle proprie mancanze di 50 anni fa". Il mea culpa delle istituzioni continua nelle parole del presidente del Senato Grasso, a Longarone per rendere omaggio alle quasi 2mila vittime del disastro.
Nessuno aveva mai rivolto ai superstiti scuse ufficiali. Nonostante i 77 miliardi di lire per i danni morali e materiali pagati nel 2000 dallo Stato, in parte con Enel e Montedison. L'ha fatto per primo il ministro Andrea Orlando, insieme al capo della Protezione civile Franco Gabrielli, aprendo "un momento storico, un passo verso una riconciliazione", secondo il sindaco di Longarone Roberto Padrin. Anche se i sopravvissuti non la pensano tutti così. "È troppo tardi", è stato il commento di Viviana Vazza, che aveva 16 anni quando una frana si staccò dal monte Toc e fece esondare il lago artificiale, per uso elettrico, formato dalla diga sul fiume Vajont. Il fragore fu quello di un'esplosione: 1.910 persone persero la vita e intere cittadine furono distrutte. Oggi alcune di esse, come Erto e Castellavazzo, restano paesi fantasma.

I provvedimenti per evitare un nuovo Vajont
- "Il dissesto idrogeologico è un'emergenza nazionale: ci sono 5.581 comuni in Italia che sono nelle aree più pericolose". Quindi, ha concluso il ministro dell'Ambiente Andrea Orlando nel suo intervento al Senato per ricordare la tragedia del Vajont, "mi sono impegnato con il governo, con la legge sul contenimento del consumo di suolo", al momento all'esame della Conferenza Stato-Regioni. Per la prevenzione, che è "la sfida principale", servirebbero 11 miliardi subito, più un'altra trentina nel tempo.

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