Alcoa, nessuna proroga: da lunedì lo stop degli impianti

Cronaca

Doccia fredda da Portovesme: "Dal 3 settembre blocco della produzione". Ma la Glencore mostra interesse e ha chiesto 7 giorni per le verifiche. L'incontro a Roma si era concluso con un nulla di fatto. Fuori dal Ministero la protesta dei lavoratori

Doveva essere la giornata decisiva per il futuro di Alcoa. Ma dal vertice a Roma in cui il governo ha incontrato le parti, è venuto fuori un nulla di fatto. Tutto è stato rimandato al 5 settembre. Serviva una soluzione che scongiurasse la chiusura degli stabilimenti e la conseguente perdita di lavoro per centinaia di persone. E in serata è arrivata la doccia fredda da Portovesme. Il governatore Cappellacci ha chiesto ufficialmente all'azienda di dilatare i tempi, ma i vertici del colosso dell'acciaio hanno rifiutato: "Dal 3 settembre partono le procedure per lo spegnimento degli impianti".

Il vertice romano sull'Alcoa di Portovesme era durato circa un'ora. Al termine, il Ministero ha diffuso un comunicato in cui trapela un moderato ottimismo. La multinazionale svizzera Glencore ha infatti ribadito il proprio interesse "a discutere della questione Alcoa, chiedendo chiarimenti in merito alle condizioni di contesto, come costo dell'energia, condizioni infrastrutturali e ambientali". Glencore si è riservata di decidere entro una settimana. Tutto rinviato dunque. Ma dalla Sardegna sembra rimanere in piedi la decisione dei vertici dell'impianto di bloccare la produzione il 3 settembre.

Garanzie governative e disappunto dei sindacati - Il governo ha anche garantito una tutela per i lavoratori del Sulcis, grazie ad appositi ammortizzatori sociali (VIDEO). "Governo e Regione hanno concordato le modalità per mettere in sicurezza i lavoratori dell'Alcoa e dell'indotto". I sindacati hanno però espresso posizioni meno ottimiste. Rino Barca, segretario metalmeccanici Cisl ha dichiarato: "Non vedo un impegno del governo italiano. Continueremo a battere i caschetti per terra per far capire che la trattativa non finisce qui. Da domani primo settembre lo stabilimento si ferma, quindi questo comunicato non è positivo per noi lavoratori".

La rabbia dei lavoratori - Gli operai dell'Alcoa hanno protestato dalle prime ore del mattino per le strade di Roma. I lavoratori dello stabilimento per la produzione di alluminio di Portovesme hanno organizzato un blitz davanti Montecitorio per chiedere il salvataggio dello stabilimento sardo di alluminio. (GUARDA LE FOTO DELLA PROTESTA DELL'ALCOA A ROMA). Il presidio si è poi spostato davanti al Ministero dello Sviluppo economico. Alcuni manifestanti si sono arrampicati su un cancello e uno di loro si è sentito male. Dopo la fumata grigia emersa dal vertice, i lavoratori stanziati in Via Molise, hanno assunto un atteggiamento attendista, nella speranza che fino all'ultimo si possa evitare l'avvio delle procedure di blocco della produzione. "Ci aspettavamo una risposta positiva. Siamo arrivati dalla Sardegna, dalla provincia più povera d'Italia per ottenere cosa? Sempre rinvii o risposte negative", ha detto uno di loro. Predominano delusione e amarezza. Adesso l'unica speranza dei lavoratori è che l'Alcoa possa concedere un rinvio e aspettare così la risposta di Glencore.

Doccia fredda dopo la proposta di Cappellacci - Il governatore della Sardegna ha chiesto in maniera ufficiale all'amministratore delegato di Alcoa Italia, Giuseppe Toia, di dilatare i tempi per la fermata dell'impianto di Portovesme, in attesa di capire il grado di interesse di Glencore. Ma i vertici del colosso americano hanno rifiutato la proposta di proroga. Secondo alcune fonti vicine alla vertenza dello stabilimento sardo, da lunedì 3 settembre dovrebbero partire le procedure per l'arresto della produzione.

La protesta parallela della Carbosulcis - Oltre al dramma dei lavoratori di Alcoa, prosegue anche la protesta della Carbosulcis. Giovedì 30 agosto, il governo aveva aperto uno spiraglio per il futuro dei minatori dei pozzi Nuraxi Figus: "La miniera del Sulcis non è detto che chiuda" ha affermato il sottosegretario De Vincenti. E prosegue anche la protesta dei minatori della Carbosulcis asserragliati a 400 metri di profondità. Nel ventre della terra, i minatori non si fidano. E dopo il gesto shock di Stefano Meletti, che davanti alle telecamere si è ferito al braccio con un coltello per protesta (IL VIDEO) giovedì 30 agosto due lavoratori, esasperati e stressati da giorni di occupazione e dalla tensione per l'attesa di risposte da Roma, sono scesi nel piano più profondo della miniera, lasciando i compagni in presidio a una trentina di metri più su. A quella profondità le condizioni sono proibitive con il rischio concreto di collassi: poco ossigeno, 36-40 gradi di temperatura, tasso di umidità al 90% e terreno ridotto ad un acquitrino melmoso e maleodorante.
Per convincerli ad uscire, dopo almeno tre ore di trattative, sono dovute intervenire le squadre di salvataggio interne alla Carbosulcis. Alla fine i due minatori hanno rivisto la luce del sole, portati in superficie con le barelle e da qui trasferiti in ospedale per accertamenti.

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