RAVE Siamo entrati nella fabbrica dello sballo

Cronaca
Un'immagine del rave party di Cornaredo. Agenzia fotografica Massimo Sestini
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Si danno appuntamento via web, arrivano in camper da tutta Europa, si drogano e ballano finché non fa giorno aggrappati alle casse che pompano musica techno. Fuori dal mondo? No, in un capannone dell’hinterland milanese. Ci siamo stati. GUARDA LE FOTO

di Chiara Ribichini

Cosa accade durante un rave? Come ci si arriva e chi partecipa? Il 16 agosto 2009 Laura, 23 anni muore a Castro, nel Salento. Poche ore dopo un giovane israeliano arriva senza vita all’ospedale di Campobasso. Entrambi hanno partecipato a due diversi free party segnati dalla musica techno e dalle droghe. Ci vuole tempo per costruire una rete di contatti sul web e capire il linguaggio in codice usato dagli organizzatori che, dopo le due tragedie, sono ancora più cauti. Ma sabato 19 settembre siamo riusciti a partecipare al “Diskonnected free party” a Cornaredo. Raduno illegale, entrata gratuita, stupefacenti a volontà. Ecco quello che abbiamo visto e fotografato. Di notte e di giorno.

“Hai la mutanda delle sigarette? Una cartina? Trova qualcosa, devo metterci il trip o me lo perdo”. Uno scambio di battute sulla strada verso il rave, là dove la luce dei lampioni permette ancora di vedere qualcosa. Poi, al di là del cancello, il buio. E’ sabato 19 settembre, hinterland milanese, è già passata mezzanotte.
Un sentiero: fango, sassi, buche, pezzi di ferro, vetri. Camminano facendosi luce con una torcia, un cellulare, un accendino: ragazzi a gruppi tra i 15 e i 30 anni, soprattutto maschi. C’è un’aria frenetica, un brusio crescente, un continuo squillare dei telefoni. Sono gli amici che stanno arrivando e non riescono a trovare “la ditta”.
Perché è così che l’hanno indicata nel messaggio in segreteria con cui, solo alle 23, tutti i partecipanti hanno avuto l’indirizzo di questo raduno tra techno e sballo annunciato sul web.
“Tangenziale ovest di Milano, uscita Settimo Milanese, secondo semaforo a destra, primo a sinistra, lì c'è la ditta”.

In realtà le indicazioni non sono esatte, ma una carovana di camper, roulotte, automobili porta a via dello Sport, a Cornaredo.
Tra questi un pullman viola, un altro completamente nero con l’immagine di un teschio sul finestrino. Targhe italiane, francesi, inglesi. Molti i ragazzi a piedi che attraversano la campagna. “Vanno tutti là in fondo. Sarà lì? Boh? Io non so neanche chi sono e dove sono in questo momento, tu lo sai?”. Sorride, ha la carnagione bianca, qualche lentiggine sul volto, gli occhi grandi e verdi. Sbarrati. E’ una ragazza di sedici anni o poco più.

“Speed, oppio, aiutatemi a guadagnare 10 euro”. Nel buio del sentiero è già iniziata la vendita. Avvicinandosi alla meta si susseguono una serie di tavoli con qualche bottiglia d’acqua e tanti volantini. Sembrano le bancarelle fuori dagli stadi durante i concerti. Sono tutti punti di spaccio. Non si paga per entrare.
La fabbrica è un capannone enorme, a occhio e croce un campo da calcio, inutilizzato da tempo. In fondo la musica: le console dei dj e le casse, dieci file di woofer incolonnati uno sull’altro che pompano bassi. Sulla sinistra un piccolo bar con prezzi che potrebbero competere con quelli di un supermercato. “No business” è uno dei dieci comandamenti del popolo dei ravers. Sulla destra un cartello: “Fight 4 your party”. Ma il verbo combattere mal si concilia con questi ragazzi che mirano solo a isolarsi nel loro trip. Nessun gesto violento. Al contrario, c’è un spirito di solidarietà e di fratellanza. Dopo averti urtato per sbaglio, ti fanno una carezza.
Più in là un gruppo di ragazzi gioca con il fuoco. E non è un modo di dire.

Per raggiungere la “pista da ballo” bisogna superare una decina di roulotte parcheggiate all’interno del capannone. La porta è aperta, davanti file di ragazzi. Dentro un gran fermento. Cinque o sei persone preparano con il bilancino le dosi di polvere bianca. Cocaina? Macché. Troppo costosa e troppo da “fighetti”, sostengono qui. E’ amfetamina mischiata con l’ammoniaca. Mezzo grammo costa 35 euro. Qualcuno “cucina” la ketamina, un anestetico liquido per cavalli che scaldato si solidifica e diventa polvere. Si vende anche mdma (il principio attivo dell’ecstasy).
Ci sono dei fogli sui tavoli, ma non servono per disegnare. Qui li chiamano cartoni e sono imbevuti nell’lsd. Diventeranno centinaia di trip.

Difficile resistere al volume altissimo di una musica che stordisce anche chi non assume droghe. In fondo alla fabbrica si balla con le spalle rivolte al dj e i volti verso le casse. Il rave si vive lì, attaccati ai woofer, addirittura aggrappati con le mani. Una sfida. Ma anche un modo per sballarsi di più, per far sì che le vibrazioni della musica rimbombino nel corpo e nella mente.
In alto la scritta “Mad Factory”. E’ uno dei gruppi di dj che si alternano durante la notte. Sul soffitto si intrecciano fasci di luce verde e rossa. I raver sono circa 800. Saltellano, poi si fermano. Hanno un cd in mano. E’ su questo che con l’aiuto di una scheda di plastica preparano le strisce da sniffare.

E’ buio. Fa freddo, c’è una forte umidità. Dal pavimento sterrato si solleva una nuvola di polvere, si mischia al fumo bianco che viene diffuso per “creare atmosfera” ma, soprattutto, al fumo dell’hashish, dell’erba, dell’oppio. Difficile respirare. Ogni tanto qualcuno si volta, si avvicina a uno dei tanti pilastri della struttura in metallo e urina.

Un blackout verso le quattro ferma il rave per una decina di minuti. Ma non è finita, si riparte. Intorno alle 6:30 la luce del sole irrompe all’interno del capannone attraverso quel che resta di grandi vetrate. La scena è spettrale. Si capisce quanto bisogna stare attenti a dove si cammina. Reti, ferri, vasi frantumati, scaffali fatti a pezzi, copertoni di ruote dei camion, vetri. Non c’è dove sedersi. Con il passare delle ore iniziano i crampi alle gambe.
Un ragazzo si fa largo tra la folla, si copre i capelli con il cappuccio della felpa, si sdraia sulla polvere. E si addormenta.
Alle 8 sono rimasti in pochi. Molti si siedono per terra. Si accasciano. C’è chi gioca con una poltrona, chi con una corda appesa a una colonna. Qualcuno, sotto l’effetto eccitante dell’mdma, continua a ballare con movimenti sempre più sconnessi. Le roulotte chiudono le porte. Una ragazza dà una pacca su una spalla di un 20enne che balla. Senza volerlo, lo fa cadere in terra.

E’ pieno giorno. La “ditta” ora ha un nome: Icoma. Un cartello indica un progetto di bonifica dell’area. A poche decine di metri si scorgono delle villette. In fondo alla strada si riaffaccia una pattuglia dei carabinieri. I bassi tuonano ancora. Per qualcuno il rave non è finito. Per molti il prossimo appuntamento è già fissato: sabato 26 settembre free party a Bologna.

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