Alpi, dai ghiacciai emergono metalli pesanti e sostanze radioattive

Ambiente
Il ghiacciaio del Morteratsch e i torrenti che trasportano l'acqua di fusione durante i mesi estivi (Credits: prof. Giovanni Baccolo, Università Milano Bicocca)
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Lo studio, pubblicato su Scientific Report, denuncia la presenza di cesio-137, americio-241 e bismuto-207, sostanze radioattive prodotte da test e incidenti nucleari. Ma per gli scienziati non c'è alcun rischio per la salute umana

Mentre i ghiacciai si ritirano per effetto dei cambiamenti climatici, emerge la presenza di metalli pesanti e sostanze radioattive, residui di test e incidenti verificatisi in passato, nelle acque di fusione derivanti dallo scioglimento delle vette. Lo denuncia uno studio pubblicato su "Scientific Report". Le recenti misurazioni effettuate sul ghiacciaio del Morteratsch, nelle Alpi svizzere, da un gruppo di ricercatori italiani, hanno utilizzato sedimenti chiamati crioconiti come rivelatori di sostanze  - organiche e non - nei ghiacciai. Tra quelle radioattive rinvenute ci sono il cesio-137, l’americio-241 e il bismuto-207. Tuttavia gli scienziati non hanno denunciato alcun rischio per la salute umana.

Il metodo dei ricercatori: le coppette crioconitiche

I ricercatori dell'Università di Milano-Bicocca in collaborazione con Università di Genova, INFN e LENA dell'Università di Pavia, hanno utilizzato le coppette crioconitiche, contenenti cioconiti, piccoli depositi di sedimenti scuri che si trovano sui ghiacci di tutto il mondo. Questo elemento assorbe e concentra non solo le sostanze radioattive, ma anche metalli pesanti e metalloidi come zinco, arsenico e mercurio. Come spiega in una nota l'Università di Milano Bicocca, le crioconiti si formano nelle regioni dei ghiacciai soggette alla fusione e la loro formazione è dovuta all'interazione fra materiale di origine minerale e sostanza organica. Tra l'altro secondo gli scienziati, oltre a comportarsi come vere e proprie spugne assorbendo qualunque cosa li circondi, possono accelerare i processi di fusione del ghiaccio.

(Coppetta crionitica - foto del prof. Giovanni Baccolo, Università Milano Bicocca)

Alpi, la zona più a rischio contaminazione

Con lo scioglimento del ghiaccio e lo scorrimento dell'acqua di fusione, anche le sostanze tossiche immobilizzate da anni o addirittura decenni vengono rilasciate nell’ambiente circostante. Ciò che la ricerca evidenzia è che le concentrazioni di sostanze tossiche rilevate sono nettamente superiori rispetto a quelle tipicamente osservate nel ghiaccio e nell'acqua di fusione pura. "Questo lavoro dimostra la capacità della crioconite di trattenere inquinanti di origine atmosferica con estrema efficienza – spiega Giovanni Baccolo, dottore di ricerca che collabora con i gruppi di Glaciologia e Radioattività dell’Università di Milano-Bicocca – incluse sostanze molto rare come i nuclidi radioattivi prodotti durante i test nucleari degli anni Sessanta. Considerando il perenne stato di ritiro dei ghiacciai alpini, questa ricerca è di grande interesse perché tutto ciò che è rimasto 'intrappolato' nei ghiacciai negli ultimi decenni sarà presto rilasciato nell'ambiente". La regione alpina si conferma un'area critica e fragile dal punto di vista ambientale, a causa dell’intensa attività industriale che circonda la zona montuosa. Infatti, la presenza di metalli pesanti fa pensare che la contaminazione abbia cause umane: industrie e trasporti potrebbero aver contribuito all'accumulo di queste sostanze nei ghiacciai negli ultimi decenni. Secondo i ricercatori si tratta de banco di prova geografico ideale per studiare l'impatto delle attività umane sui ghiacciai e sugli ambienti d'alta quota in generale.

La contaminazione radioattiva

Tra le sostanze radioattive rilevate alcune hanno origini naturali (torio, uranio e potassio), altre hanno origine antropica e si sono diffuse nell'ambiente in seguito a test e incidenti nucleari avvenuti in passato. Alcune sostanze radioattive possono viaggiare nell'atmosfera. La presenza del cesio-137, fra i nuclidi artificiali più noti, fa pensare che l'incidente di Fukushima del 2011, avvenuto in Giappone, possa aver avuto conseguenze anche sull'Italia. Si tratta anche dell'elemento radioattivo maggiormente presente nelle coppette crioconiti: il cesio-137 è giunto qui anche in seguito al disastro di Chernobyl e a causa dei test nucleari eseguiti tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Gli scienziati non sono stati ancora in grado di determinarne l'origine del bismuto-207. Si ipotizza che un ruolo importante nella sua creazione possa averlo avuto l'esplosione della "Bomba Zar", la più potente bomba all'idrogeno mai sperimentata, avvenuta nel 1961 nella Novaja Zemlja, allora parte dell'Unione Sovietica. Si tratta della principale causa finora riconosciuta per la presenza di bismuto-207 nella regione artica ed europea.

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